Parvapolis
8-3-2024
Questa storia che la cultura sta solo a sinistra attecchisce nel senso comune come la gramigna.Per qualcuno la destra ha solo Tolkien. Guai se fai notare che la cultura non ha padroni e non ha bandiere, sei un qualunquista, se proprio ti va bene. Ricordo di aver fatto, da giovane, un esame all’Università di Storia e critica del cinema. C’era un manuale che la faceva proprio facile facile. Un regista era un grande se metteva i lavoratori prima di ogni altra cosa, gli interessi della collettività, la coerenza verso le idee. Che fosse suo compito fare bei film non era così essenziale. Registi come, metti, Zeffirelli erano dei cialtroni, che non avevano ancora maturato una chiara coscienza politica. La (pretesa e sedicente) egemonia culturale della sinistra ha una responsabilità in più, perché ha avuto la tendenza ad avere un monopolio e nello stesso tempo negare la dignità culturale a coloro che non rientravano nel suo cono di luce, negando così alla destra la dignità culturale, ricacciandola nella barbarie e negandogli a priori ogni visibilità e credibilità, identificando ogni posizione, ideologicamente scorretta con nazi-fascismo e dintorni. A chiamarsi fuori dalla lobotomizzazione, le cose non stanno così. I due giganti del nocevento culturale italiano, Giovanni Gentile e Benedetto Croce, non sono di sinistra. Julius Evola è un autore da riscoprire e da rivalutare, buttato nell’immondizia proprio dai nipotini di Stalin. E sempre nell’ambito del tradizionalismo cito a caso: Guenon, Eliade, Cioran. E ancora basti pensare, su altri ambiti, al cinema di Gualtiero Jacopetti, alla narrativa di Giuseppe Berto, alla stessa avanguardia teatrale di Carmelo Bene. Luigi Pirandello fu comunista? Petrolini pure? Leonardo Sciascia? Pound? D’Annunzio? Bukowski? E Jack Kerouac, John Fante o Bruce Chatwin? Popper? von Mises? von Hayek? Carl Menge? Tutti quegli autori, anche in ambito cattolico, che hanno fatto della ricerca del senso la ragione del loro impegno? Gli autori che all’Utopia hanno preferito la Speranza, al sindacalismo la Carità, all’esaltazione mitica dell’operaio l’impegno? Penso a Fernando Pessoa e al suo “delirante universo senza amore, dove tutto ha stanchezza di esistere”, penso a Sergio Quinzio o ad autori per cui ho pianto, ho riso, ho riflettuto. Gli autori di una malinconia che ti fotte con il tempo e la distanza? Miguel de Unamuno, e non posso non citarlo io, che è uno dei più grandi intellettuali europei a cavallo tra otto e novecento, è di sinistra? Oggi lo sono Marcello Veneziani, Rino Cammilleri, Gianfranco De Turris, Giano Accame? Messori? Gervaso? Fu di sinistra Montanelli?
Lo dico con compiacimento: nella cultura di destra c’è l’accettazione del pluralismo delle libertà e delle fratture della modernità. Riconoscendosi come cultura della destra essa accetta di rappresentare non il tutto ma una parte. Insomma, la sinistra non può giocarsi né la carta del lato qualitativo, né spendersi una superiorità numerica che non ha e non ha mai avuto. E sul pluralismo molta sinistra dovrebbe andare ancora a scuola. Cominciando dall’abbiccì.